Antonina Zetova, Neli Marinova, Elitsa Vasileva. Dubito che gli appassionati del grande volley perugino abbiano dimenticato questi nomi. Appartengono ad una colonia estera, quella bulgara, che negli ultimi dieci anni di storia della Sirio, è stata la più numerosa, insieme a quella brasiliana. Toni “Tornado” Zetova, nel corso della sua lunga carriera, ha vestito per tre stagioni i colori della Sirio, lasciando a Perugia un segno indelebile. Il suo braccio potente contribuì in maniera fondamentale alla conquista di uno Scudetto, una Coppa Italia, una Champions League, una Coppa Cev e perfino una Coppa di Lega. Neli Marinova ha giocato da noi per una sola stagione, l’ultima a grande livello di Perugia, quella della vittoria in Supercoppa, della Champions League vinta a Murcia e dell’ultima finale scudetto, persa contro la Scavolini Pesaro. Anche Elitsa Vasileva ha giocato una sola stagione all’Evangelisti, guarda caso insieme alla Zetova che tornava in campo dopo la maternità. Per lei, il grande Massimo Menghini, allora dirigente della Sirio, coniò il soprannome “braccio cattivo”. Un nickname che forse potrebbe ricordare di aver sentito… anche la protagonista di questa storia, che fece il suo esordio da spettatrice, all’Evangelisti, proprio per assistere ad un match di Elitsa, che l’aveva invitata a Perugia come si fa con una vecchia amica… Strani incroci del destino, storie di vita e di sport, di persone, città, nazioni… che si incontrano, per scrivere storie personali davvero uniche… Ma non perdiamo il filo. Zetova, Marinova e Vasileva, oltre alla militanza perugina, hanno avuto un altro aspetto in comune, una cosa non certo anomala per le giocatrici bulgare. Quella di aver mosso i primi passi sportivi nel CSKA di Sofia.
In Bulgaria il Cska, in qualsiasi disciplina, non è una squadra qualsiasi. Il Cska è “la squadra” per antonomasia. E’ la squadra dell’esercito, del potere, dell’establishment. Alla quale si oppone il Levski, l’altra grande squadra di Sofia. Cska e Levski si dividono il dominio a livello nazionale e, nel volley femminile, hanno recitato un ruolo da protagoniste anche a livello europeo. Il Cska, in particolare, vanta due successi in Coppa dei Campioni (1979 e 1984) e uno in Coppa delle Coppe. Quando Cska e Levski si incontrano, o meglio, si scontrano, usare il termine derby è davvero un eufemismo. Si parla addirittura di “Derby Eterno di Bulgaria” e la rivalità non riguarda solo le tifoserie, ma coinvolge tutti i livelli dei due club. Ovviamente, anche gli atleti. Di qualsiasi età. Non ci credete ? Provate a chiedere ad una ragazzina che va in giro per la capitale con addosso la tuta del Cska, cosa può capitare incrociando, magari alla fermata dell’autobus, altre ragazzine, che però giocano con il Levski. L’insulto, diventa un saluto. Difficile da capire per noi stranieri ? Forse. E forse, una roba come questa, è ancora più incomprensibile se giochi nel Cska di Sofia, ma sei nata da tutt’altra parte… Magari, proprio in un’altra nazione. E’ il caso della giocatrice che ha ispirato questa storia, in cui si parla di lei, di Roberta Di Romano.
Papà Ivano e mamma Maria, le hanno regalato la possibilità di sentirsi figlia di due paesi e di due culture diverse: quella italiana e quella bulgara. Ma le hanno offerto anche la possibilità di scegliere se fare sport in una nazione o nell’altra, di sentirsi magari un po’ … Marinova e un po’ Di Romano ! Anche se, ad onor del vero, quello tra Roberta e la pallavolo, non è stato proprio un amore viscerale o almeno a prima vista… Diciamo che il volley è arrivato dopo un’attenta, curatissima selezione, seguita passo dopo passo… dal resto della famiglia. Una selezione, terminata la quale, la protagonista di questa storia però, non ha avuto più dubbi: si gioca a pallavolo.
Inizia così la sua avventura nel ricco pianeta giovanile della capitale. Il primo step nella sezione pallavolo della ASD Roma 12, il secondo a Tor Sapienza, dove Roberta entra nell’orbita di un monumento della pallavolo italiana come Simonetta Avalle, che ne intuisce subito il potenziale talento. Mani destinate a crescere però, in un’altra scuola… Non ha ancora quattordici anni, Roberta, quando lascia Roma per cambiare capitale. Sofia è la destinazione prescelta, il Cska la squadra del destino. La maglietta rossa, una stella rossa come stemma, la rigida educazione sportiva del club dell’esercito che diventa qualcosa di più di una scuola di vita. Parlare di esperienza formativa, credeteci, è quasi banale.
Parentesi. Far parte del “sistema CSKA”, anche nel terzo millennio, significa essere dentro un meccanismo molto particolare, almeno per “noi occidentali”. Potremmo pensare che la caduta del Muro di Berlino abbia “ammorbidito” certe strutture, soprattutto in ambito sportivo. E invece, molti aspetti sono quelli che, nei paesi dell’est, hanno collocato lo sport al centro del sistema educativo. Tra questi la creazione di Club legati a diversi settori della vita lavorativa, come appunto il Cska (Centro Sportivo Centrale dell’Esercito). Strutture come queste hanno favorito il diffondersi dell’attività sportiva, hanno formato campioni che probabilmente in “condizioni normali” forse non avrebbero nemmeno potuto fare sport, hanno portato avanti parallelamente alla formazione sportiva anche quella scolastica e culturale, regalando una prospettiva futura a chiunque è diventato parte di questo progetto. E’ così ancora oggi. Dentro il Cska ci sono ottimi (e ferrei…) allenatori, essere nel Cska significa dover obbligatoriamente frequentare con profitto la scuola e si è dentro un club che, in ambito sportivo o al di fuori, garantisce un percorso privilegiato a chi ne è parte.
Ecco, credo che, prendere una qualsiasi quattordicenne delle nostre città e inserirla per un anno all’interno di un Cska, sia quanto di più formativo e duro ci possa essere. Una scuola di vita e di sport. Quella scuola che tuo padre, quando ti raggiunge a Sofia, può osservare solo dall’esterno: uno strano turista che osserva il più anonimo dei monumenti… Ma gli altri non sanno, che lì, dietro quelle mura grigie, c’è il pezzo più speciale del suo cuore. Un cuore, ad un certo punto, ha scoperto di averlo anche il presidente di quel Cska. E’ lui che, dall’altro del suo potere (si, proprio potere, nient’altro), un bel giorno decide che quel papà che viene da lontano può assistere agli allenamenti, ed è l’unico che può farlo tra tutti i genitori delle ragazze. Un privilegiato, con un obbligo addosso: cercare di essere invisibile… Ma quel papà non è tipo da cose “banali”. Quel papà, tanto per raccontarne una, è così “pazzo” da volere seguire la trasferta di sua figlia anche in una piccola, sperduta località ad centinaio di chilometri dalla capitale… E quando, a fine partita, sua figlia scopre che lui è proprio lì, a bordo campo, non può che corrergli incontro e stringerlo nel più dolce degli abbracci. Nel “sistema CSKA”, però, il rispetto delle regole viene prima del cuore. E così, quella ragazzina, la romana di Sofia, finisce per prendersi un cazziatone epocale… Non riuscire a piangere, in certi casi, è impossibile: quelle di Roberta, sono le lacrime più struggenti che un padre possa vedere… Anche questo, è stata la stagione 2011-2012 di una delle palleggiatrici della Tuum. Quella vissuta sotto lo sguardo dei tecnici Teodora Gospodarska e Atanas Lazarov (“Due persone eccezionali”, ricorda papà Ivano) con cui ha conquistato il titolo di Campione di Bulgaria Under 17. Un pallone, una rete, un paese lontano, e lei: un po’ zarina, un po’ core de Roma.
Cosa ha lasciato a Roberta quell’avventura ? Qualcuno, tempo fa, le chiese quali fossero state le esperienze più belle della sua vita. E lei rispose: “Quelle da cui ho imparato molto, come l’anno in Bulgaria…”. Ecco questa è la Roberta Di Romano che, dopo un anno di scuola bulgara, trovò simpatico persino un sergente di ferro come Roberto Scaccia, che la allenò nella stagione 2012-2013 a San Mariano, in una Sgm Graficonsul che, cercando un compromesso tra gioventù ed esperienza, affidò il ruolo di “seconda” alla ragazza appena arrivata dal Cska. In quell’ambito le fece da “chioccia” una vecchia volpe del taraflex come Elisa Peluso che, tra l’altro, in quella stagione, aveva il doppio degli anni della sua vice…
L’esperienza sanmarianese segna comunque un punto importante. Roberta lascia una traccia del suo passaggio. L’Umbria, avrà un posto speciale nel suo destino. Prima però, si torna a casa. O almeno nei paraggi. Ostia è il mare di Roma. Come tornare a casa. Stagione 2013-2014, squadra giovane quella dell’Evoluzione Ostia, che affronta il campionato di serie B2 con un gruppo capace comunque di ben figurare nel proprio girone, chiuso al quarto posto, ad un passo dalla zona play off. Quanto basta per ottenere nella stagione successiva il ripescaggio per partecipare al campionato di serie B1, categoria nella quale Roberta ritorna dopo l’esperienza di San Mariano. Sarà anche la prima volta all’Evangelisti da giocatrice, per la palleggiatrice capitolina che, indossando la maglia col numero uno, affronta la lanciatissima Gecom di Fabio Bovari l’11 aprile 2015, uscendo sconfitta col risultato di 3 a 1. Forse è anche lì che, in qualche modo, scatta la scintilla tra l’ambiente perugino e Roberta che, infatti, nel corso dell’estate di quell’anno diventa a tutti gli effetti uno dei gioielli di casa TUUM.
Mai scelta si rivelò più felice. Partita come seconda palleggiatrice, Roberta ha saputo sfruttare tutte le opportunità che le si sono presentate, guidando senza paura una squadra chiamata a rincorrere i play off per la promozione in A2. Un compito non facile, che Roberta ha saputo svolgere con lucidità e carattere: come prendersi un peso sulle spalle e portarlo nel miglior modo possibile a destinazione. Anche in certe serate grigie, come quella del 27 febbraio 2016, quando Bologna violò il PalaEvangelisti scavalcando la Tuum al terzo posto; anche quella sera Roberta fece la sua parte, in pieno. Lo raccontano le cronache di quella partita: “Da sottolineare comunque la buona prova della giovane regista Roberta Di Romano, che si è meritata il premio MVP in virtù della sicurezza con la quale ha guidato la squadra”. Lampi di talento e determinazione, quelli che ti permettono di prendere in mano la squadra, senza dimenticare che tu sei un tipo “da Cska” e dunque, forse, non hai paura di niente… Da quel tipo di scuola, a quella perugina del prof. Fabio Bovari, altrettanto formativa, con l’obiettivo di crescere ancora. E quella passata, è stata una stagione in cui la protagonista del nostro racconto ha riconosciuto di “essere cresciuta molto sia tecnicamente che tatticamente”. Per questo, pur essendo sfumato il traguardo prefissato dalla società, lei si è guadagnata sul campo la possibilità di riprovarci. Di continuare qui, in questa città che è ormai una seconda casa, i suoi sogni sportivi.
Perché Perugia e l’Evangelisti, sono da sempre un segno del destino… Da quel 31 gennaio 2010 quando Roberta vide la connazionale Vasileva, con addosso la maglia numero 16 della Despar… Passando per l’11 aprile 2015 quando Roberta giocò all’Evangelisti da avversaria… Per arrivare ai gironi nostri e scoprire che… scorrono ancora gocce di sangue bulgaro nelle vene del grande volley femminile perugino… Dopo Zetova, Marinova e Vasileva, tocca a Roberta Di Romano vestire i panni della nuova zarina… Il potere di una stirpe, di una dinastia chiamata a compiere, sotto le volte del nostro palasport, grandi imprese. Cerchiamo ovunque i segni del destino. E nelle pieghe di ogni storia, scopriamo tracce di un passato… che strizza l’occhio al presente… per portarci verso il più luminoso dei futuri… Perché, con la Zarina di Roma, nulla è impossibile.